CULTURA &TEMPO LIBERO

 
 
 
 
HOME DEL DOSSIER
L'editoriale
In primo piano
Temi precedenti
Scritti per Ventiquattro

Memorie di guerra in un interno

di Lorenzo Castore

commenti - |  Condividi su: Facebook Twitter|vota su OKNOtizie|Stampa l'articoloInvia l'articolo|DiminuisciIngrandisci

Due case, una a Sarajevo l'altra a Mostar. Sono state abbandonate durante la guerra e mai più abitate. Negli anni si sono sedimentate
le tracce del tempo, la polvere, i segni di passaggi clandestini,
gli echi di una violenza folle che le ha solo lambite. A fare da guida,
il musicista Nedim



Era tanto che volevo fotografare la guerra. Non un conflitto in atto: quello era stato il mio primo lavoro da professionista, in Kosovo nel 1999, e avevo deciso che non mi sarei più confrontato con l'attualità socio-politica. Se ne presume troppo e se ne capisce troppo poco. Ho sempre pensato che la Storia si riveli di più a partire dall'insignificante. A distanza di sedici anni dall'inizio dell'assedio di Sarajevo ho deciso di andare a vedere cos'era rimasto; cercavo una casa abbandonata a causa della guerra e che per qualche motivo si fosse mantenuta intatta.
Ho provato per mesi attraverso amici e giornalisti, senza risultato. Le case erano in rovina oppure completamente ricostruite, irriconoscibili. Decido di partire lo stesso, a vedere con i miei occhi. E incontro Nedim Zlatar, un amico di un amico. Fa il musicista, ha più o meno la mia età, va verso i quaranta. Ha vissuto la sua adolescenza sotto assedio, visto cose molto brutte. Le guerre sono all'ordine del giorno. Spesso cominciano dentro casa e magari nessuno fuori se ne accorge. Nedim ha cominciato a suonare parecchi anni fa e non ha più smesso: non è stato facile ria-bituarsi alla vita normale, uscire da una surrealtà per entrare in un'altra.
Nedim di case ne ha trovate due: una a Sarajevo e l'altra a Mostar. Sono entrambe legate dalla musica e nessuna ha una storia di tragico or-rore alle spalle: la casa di Sarajevo è stata abbandonata perché situata in una parte alta della città, un bersaglio troppo facile per i cecchini. Il proprietario, Muratcaus Rasim, era già malato durante l'assedio, e viveva lì solo. Aveva perso la moglie, e poi il figlio in guerra. La nuora e il ni-pote lo hanno portato a valle, in un'abitazione più sicura. La casa è rimasta com'era, la foto del suo matrimonio e quella del figlio adolescente ancora appese al muro, uno specchio, tracce di cornici rimosse sulla carta da parati.
La casa è stata acquistata da un amico di Nedim, un musicista francese innamorato di Sarajevo. I lavori di ristrutturazione nel frattempo de-vono essere già iniziati e probabilmente la casa come l'ho vista, dopo aver resistito per sedici anni, non esiste più. Nedim suona, vive con Sabi-na, insieme hanno una figlia. Si dedica alla musica con furore calmo, con tutta la cura che richiede un'azione appassionata. Ora fa soprattutto da solo, compone e suona. il suo progetto si chiama Basheskia, un'antica parola che significa "veterano di guerra". Era il suo soprannome quand'era ragazzo. Gli piace perché gli ricorda il periodo postbellico, fatto di depressione e dell'urgenza di spazi dove poter suonare, molto diffi-cili da trovare a Sarajevo.
La seconda casa è a Mostar. È una villa che appartiene a una famiglia benestante trasferitasi all'inizio della guerra a Zagabria. Oggi è in ven-dita. Era sulla linea del fronte, troppo pericoloso per chi aveva un posto dove riparare. Nedim è stato invitato a suonare qui tre anni fa. la casa è su tre piani, si suonava al primo, fino all'anno scorso. Era una zona franca: nessuno pagava i conti ma c'era elettricità per gli amplificatori. Potevi alzare il volume quanto volevi e nessuno diceva niente. Nedim partiva da Sarajevo, suonava per ore, e tornava in nottata. Poi la casa ha preso fuoco.
Nedim un giorno ha detto: «Sono nato a sarajevo e non ho mai lasciato questa città per più di un mese. La connessione più forte è la guerra. Dopo il conflitto nulla era più possibile. Ero molto frustrato, ma anche questo sentimento fa parte della mia relazione con la città. Da un lato odio tutte queste cose che mi sono successe e le relative conseguenze, dall'altro le amo perché fanno parte di me, mi hanno reso più umano e capa-ce di apprezzare le cose positive. Posso vivere senza soldi ma non senza la musica e le persone di valore. Nei miei progetti musicali c'è un per-sonaggio chiamato Edo K, il mio alter ego, che confonde la realtà con i sogni, rifiuta il mondo reale, vive solo in una dimensione immaginaria. A volte ho anch'io questo rapporto con la mia musica, perché mi connette con un mondo migliore rispetto alla realtà, dove mi posso sentire final-mente libero».

RISULTATI
0
0 VOTI
Stampa l'articoloInvia l'articolo | DiminuisciIngrandisci Condividi su: Facebook FacebookTwitter Twitter|Vota su OkNotizie OKNOtizie|Altri YahooLinkedInWikio

L'informazione del Sole 24 Ore sul tuo cellulare
Abbonati a
Inserisci qui il tuo numero
   
L'informazione del Sole 24 Ore nella tua e-mail
Inscriviti alla NEWSLETTER
Effettua il login o avvia la registrazione.
 
 
 
 
 
 
Cerca quotazione - Tempo Reale  
- Listino personale
- Portfolio
- Euribor
 
 
 
Oggi + Inviati + Visti + Votati
 

-Annunci-